Columna publicada el 19 de Noviembre en la revista italiana Limes: Rivista Italiana di Geopolitica

Il presidente vuole arrivare a una pace duratura con la guerriglia, ma il sequestro di un generale rischia di compromettere il negoziato. Il suo predecessore contrario al dialogo è una spina nel fianco.

Il presidente della Colombia Juan Manuel Santos è impegnato su due fronti. I dialoghi a L’Avana con le Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia (Farc), pur sospesi a causa del rapimento del generale Alzate (vedi gli ultimi 4 paragrafi di questo articolo), non sono stati cancellati del tutto, nella speranza di porre fine al conflitto tra lo Stato colombiano e le guerriglie. Intanto a Bogotá il presidente deve respingere le pressioni dell’opposizione guidata dal suo predecessore, Alvaro Uribe, di cui un tempo era ministro della Difesa.

La parola pace, che Santos ha usato come cavallo di battaglia per riconfermarsi alle elezioni presidenziali dello scorso gennaio, sta diventando un concetto molto scomodo. Celebrata dal governo come la condizione necessaria per consolidare l’ascesa della Colombia a nuova potenza del continente, è guardata invece con sospetto dalle file degli uribisti che accusano il presidente di compromettere la sicurezza nazionale in nome di un negoziato che darebbe troppi vantaggi ai guerriglieri.

Santos e Uribe hanno abbracciato due filosofie opposte: il primo ha fatto del dialogo con le Farc il proprio mantra; il secondo nei suoi due mandati aveva adottato misure molto più repressive, preferendo al negoziato il confronto armato. Mentre la scena politica rimane polarizzata, la sensazione è che la pace (che manca da più di cinquant’anni) potrà essere raggiunta solo attraverso una strategia che sappia affrontare le cause che hanno portato alla nascita della guerriglia colombiana.

Le Farc nacquero in un momento storico e politico complesso. Dal 1948 alla metà degli anni Cinquanta il paese fu lacerato dalla Violencia, un conflitto tra esponenti del partito conservatore e quelli del partito liberale che causò tra i 200 e i 300 mila morti. Nel 1958 i due partiti diedero vita al cosiddetto Fronte nazionale, un accordo basato sull’alternanza al potere tra conservatori e liberali che dal 1958 al 1978 guidarono il paese.

La nascita del Fronte nazionale decretó la fine della violenza ma causò l’atrofia della scena politica colombiana. I presidenti che si avvicendarono alla guida del paese provenivano, come da accordo, solo ed esclusivamente dalle file dei due partiti. Il patto, in altre parole, sbarrò la strada al dissenso che si stava radicalizzando anche per effetto delle tensioni che la rivoluzione cubana del 1959 aveva gettato sul continente. Non potendo accedere al potere per via istituzionale, alcuni gruppi cercarono altri spazi per esprimersi.

Esiste una scuola di pensiero che vede nelle Farc il prodotto naturale di questa dinamica. Non riconoscendosi nel patto con i propri avversari politici, nel 1964 i dissidenti del partito liberale formarono il primo fronte delle Forze Armate Rivoluzionarie di Colombia, dando il via alla proliferazione di gruppi guerriglieri che dagli anni Sessanta minacciarono la stabilitá del paese.

Ma la storia delle Farc è anche una storia di violenza e povertà. Esse nacquero e si espansero come movimenti di ribellione contadina. Seppero farsi carico dei malesseri delle fasce piú povere della popolazione rurale che avevano subito violenze e privazioni in un contesto dove lo Stato, semplicemente, non esisteva più. Gran parte dei guerriglieri che tutt’ora combattono in Colombia si sono uniti alle Farc in risposta agli abusi sofferti per mano degli esponenti del partito conservatore (prima) e dei gruppi paramilitari sorti in risposta alle guerriglie (dopo).

Mentre lo Stato colombiano perdeva il controllo di porzioni sempre più vaste del territorio, le Farc diventavano dei proto-Stati, organismi con le proprie leggi che promettevano sicurezza alla popolazione in cambio di contributi alla causa guerrigliera. Ciò non implica che questi gruppi non abbiano perpetrato violenze a loro volta: le Farc hanno riunito nelle proprie file vittime e carnefici e spesso la popolazione è stata sfruttata per fini illegali quali il narcotraffico, da cui le guerriglie traggono tuttora il proprio sostentamento economico. Le zone controllate dalle Farc sono state teatro di massacri, esecuzioni sommarie e rapimenti. Per la prima volta dall’inizio dei negoziati all’Avana, il direttivo della guerriglia ha ammesso, pur riconoscendone solo in parte la responsabilità diretta, l’impatto che le proprie azioni hanno avuto sulla popolazione civile.

Le Farc oggi non sono che una delle varie forze armate illegaliattive in Colombia. La longevità delle guerriglie non puó essere spiegata solo come una conseguenza delle ingenti risorse militari o economiche a disposizione. Essa è il risultato della loro capacità di sostituirsi a uno Stato troppo debole, facendo leva sui risentimenti della popolazione per disuguaglianze e violenze cui il governo centrale non ha mai saputo porre rimedio – e che spesso ha perpetrato a sua volta.

Quello di Santos è l’ultimo di una lunga serie di tentativi di negoziato tra Stato e guerriglie. Già durante la presidenza di Belisario Betancur (1982-1986) le Farc e il governo iniziarono un dialogo da cui nacque l’Unione Patriotica, un partito politico che riuniva ex guerriglieri reintegratisi nella vita pubblica (poi decimato dalle rappresaglie di gruppi paramilitari ed estremisti di destra). Negli anni Novanta lo Stato stabilì delle zone demilitarizzate dove le guerriglie potessero sentirsi al sicuro mentre i negoziati proseguivano; queste aree giunsero a comprendere un territorio più grande della Svizzera sotto il governo di Andrés Pastrana (1998-2002).

Con Uribe (2002-2010), il rapporto tra governo e Farc cambiòradicalmente. Sotto l’ombrello della Politica di sicurezza democratica, Uribe promise un approccio più duro alla lotta ai gruppi armati e sferrò una serie di colpi che decimarono le Farc. Se al suo arrivo al potere le guerriglie potevano contare su 24 mila uomini, al passaggio di consegne con Santos queste disponevano di soli 7 mila combattenti.

All’alba del primo mandato del governo Santos, molti pensavano che il neoeletto presidente sarebbe stato la marionetta del suo predecessore. Santos aveva servito come ministro della Difesa sotto Uribe e durante la campagna delle presidenziali del 2010 aveva osannato il governo del presidente uscente come “il migliore che questo paese abbia avuto da molti anni”.

Santos invece intraprese una rottura totale con le politiche del suo predecessore. Questo strappo ebbe conseguenze geopolitiche, perché Santos normalizzò i rapporti con Hugo Chávez, che prima contribuì all’estradizione di alcuni leader guerriglieri che avevano trovato rifugio in Venezuela e poi divenne parte integrante del processo di pace a l’Avana. Ma a livello generale, quella di Santos fu una rottura nel metodo stesso di rapportarsi alle Farc.

Dopo due anni di nuovi conflitti, il 26 agosto 2012 esponenti del governo e delle Farc firmarono a l’Avana un accordo generale per la conclusione del conflitto e l’inizio del processo di pace.

Il testo prevede un’agenda di sei punti. Primo: una politica di sviluppo agrario che stimoli la crescita economica e sociale delle popolazioni rurali più povere, tema caro alle Farc in ragione della propria matrice campesina. Secondo: un piano di partecipazione politica che preveda garanzie e sicurezza per i nuovi movimenti che emergeranno dall’accordo finale (vista la decimazione che subì l’Unione Patriotica). Terzo: una strategia che permetta il reintegro alla vita civile delle guerriglie. Quarto: una soluzione al problema del narcotraffico che preveda l’abbandono da parte delle Farc delle coltivazioni di droghe illecite. Quinto: una discussione sul risarcimento delle vittime del conflitto e delle violazioni dei diritti umani perpetrate da entrambe le parti. Sesto: la verifica e l’attuazione delle misure di cui sopra.

Juan Manuel Santos si trova davanti a un compito difficilissimo. Da una parte la sfida dei negoziati a l’Avana, dall’altra l’opposizione feroce di Uribe al processo di pace del governo. La scorsa settimana gli uribisti hanno redatto un documento d’accusa contro il presidente, elencando ben 68 errori commessi da Santos a Cuba. Tra accuse prive di fondamento (come quella per cui il governo esproprierebbe 20 milioni di ettari da consegnare al Fondo delle Terre che le Farc hanno richiesto per le famiglie contadine più povere), esistono dubbi legittimi cui il governo dovrà rispondere.

Come farà la Colombia a finanziare il costo del processo di pace?Santos ha appena ricevuto da Angela Merkel un fondo di 75 milioni di euro annui fino al 2016 e l’Ue ha promesso il suo appoggio. Basteranno i fondi raccolti dal presidente all’estero? Qualora così non fosse, quale contributo economico verrà chiesto ai colombiani per portare a termine i negoziati? Infine, chi assicura che le Farc rispetteranno le loro promesse?

Domenica 16 novembre il generale Rubén Darío Alzate Mora é stato sequestrato assieme ad altre due persone dal Fronte 34 delle Farc, in una localitá del dipartimento del Cochó nota come La Mercedes. Si tratta dell’ufficiale di rango piú alto mai catturato dalle guerriglie. Santos ha immediatamente sospeso il negoziato di pace e bloccato a Bogotá la delegazione in partenza per L’Avana. Fino a quando le guerriglie non libereranno i tre prigionieri, le trattative a Cuba non riprenderanno.

Le dinamiche dell’accaduto non sono ancora chiare. Non si capisce, per esempio, che cosa facesse il generale Alzate (per di più in abiti civili) in una «zona rossa» minacciata da gruppi guerriglieri. Mentre alcuni gridano al complotto contro Santos e altri accusano il militare, il rischio é che il sequestro possa compromettere quanto finora é stato fatto in piú di due anni di negoziati e spiani la strada all’opposizione che ora piú che mai può denunciare la pericolositá della strategia del presidente. Ma il dialogo, per quanto difficile, rimane la sola strada percorribile per portare a termine la guerra tra Stato e guerriglie.

La strategia di Santos non è priva di rischi ma rappresenta, nel suo complesso, quella che meglio risponde alle radici storiche del conflitto. Il processo di pace tra Stato e Farc passa necessariamente dai motivi che portarono alla nascita e all’espansione del movimento guerrigliero. La riforma agraria e il reintegro politico e sociale delle guerriglie sono questioni difficili e pericolose da trattare per il governo, ma sono necessarie al conseguimento di una pace duratura.

Una strategia che veda nella repressione armata l’unica soluzione al problema sarebbe un’aberrazione storica e non farebbe che vanificare una trattativa iniziata più di trent’anni fa. Questa è l’ultima cosa di cui la Colombia oggi ha bisogno.

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